Datemi una leva e vi solleverò il mondo
… chi
non ha mai sentito questa frase?
La
leggenda narra che lo scienziato siracusano Archimede, l'avrebbe
pronunciata dopo aver scoperto la seconda legge sulle leve, secondo
la quale, utilizzando leve vantaggiose, è possibile sollevare
carichi pesanti con una piccola forza d'applicazione.
Quello
che non sappiamo, è che questo principio viene applicato anche negli
sport, come ad esempio nel ju-jitsu.
Prima
di tutto, spieghiamo brevemente cosa sono le leve.
Le
leve sono il primo tipo di macchina semplice inventato dall'uomo,
cioè un dispositivo in grado di compiere lavoro eseguendo un
semplice movimento. Esse, ruotando attorno a un punto fisso, detto
fulcro,
permettono di contrastare una forza esterna (la resistenza), tramite
l'applicazione di un'altra forza, meno intensa (la potenza). Il loro
funzionamento si basa sull'equilibrio rotatorio cioè eguagliando i
momenti delle forze,
dove
P è la potenza e R la resistenza, mentre br e pr sono i rispettivi
bracci d'azione, allora è sufficiente aumentare il braccio di una
forza meno intensa (e quindi aumentare o ridurre la distanza delle
forze agenti dal fulcro) per aumentare il suo momento, così da poter
contrastare una forza più intensa.
Le
leve si dividono in leve di primo, di secondo e di terzo genere, a
seconda delle reciproche posizioni di fulcro, potenza e resistenza.
Nelle
leve di primo genere il fulcro si trova tra la
potenza e la resistenza:
sono leve di questo genere il piede di porco e le forbici. In questa
categoria rientra il concetto generico di leva, che si realizza
utilizzando una sbarra vincolata a un punto fisso per sollevare un
oggetto:
il
vincolo rappresenta il fulcro, il peso dell'oggetto da sollevare la
resistenza e la forza applicata dall'uomo la potenza. Utilizzando una
leva è possibile sollevare corpi molto più pesanti di quanto non si
riesca a fare con la sola forza muscolare.
Nelle
leve di secondo genere la resistenza si trova tra il fulcro e la
potenza: ne sono esempi la
carriola e lo schiaccianoci.
In
questo caso, un esempio, riferendoci al corpo umano, la leva è
quella che ci consente di camminare. Il piede lavora esattamente come
una leva di 2° genere, con il fulcro sulla punta e la potenza nel
calcagno, dove si inseriscono i muscoli della gamba. Questa leva è
sempre vantaggiosa per cui, con uno sforzo relativamente piccolo
riusciamo a sollevare tutto il peso del corpo,
che è la resistenza da vincere.
Nelle
leve di terzo genere, infine, la potenza si trova tra il fulcro e la
resistenza: esempi di leve di terzo genere sono le pinzette e il
braccio che solleva un oggetto.
Nel
movimento con cui il braccio solleva un oggetto, esso si comporta
come una leva di 3° genere. In essa l'articolazione del gomito
rappresenta il fulcro; i muscoli che si inseriscono nell'avambraccio
la potenza; il peso dell'avambraccio e della mano, oltre a quello
dell'oggetto da sollevare, la resistenza. È una leva svantaggiosa:
infatti, nel sostenere un oggetto anche poco pesante col gomito
piegato, si avverte subito una certa fatica muscolare.
Ma
vediamo come tutto questo può avere a che fare con il Ju Jitsu.
Il jūjitsu è
un'arte
marziale giapponese il
cui nome vuol dire “arte della cedevolezza” e deriva
da jū o"jiu" che
significa "flessibile",
"cedevole", e jutsu ,
ovvero "arte",
"tecnica", "pratica". Era praticato
dai bushi (guerrieri),
che se ne servivano per giungere all'annientamento fisico dei propri
avversari, provocandone anche la morte.
Il
jūjitsu è un'arte di difesa personale che basa i suoi principi
sulle radici del nome originale giapponese: Hey
yo shin kore do,
cioè "Il morbido vince il duro", e la forza della quale
si necessita proviene proprio dall'avversario: più si cerca di
colpire forte, maggiore sarà la forza che si ritorcerà contro. Il
principio, quindi, sta nell'applicare una determinata tecnica proprio
nell'ultimo istante dell'attacco subito, con morbidezza e
cedevolezza, in modo che l'avversario non si accorga di una difesa e
trovi, davanti a sé, il vuoto.
Per
fare questo si usano particolari tecniche, come prese, leve
articolari, rotazioni, proiezioni, che la contraddistinguono da altre
arti marziali basate invece su forza, potenza e velocità, come ad
esempio il karate e il taekwondo.
Le
leve articolari, nella fattispecie, minano l’integrità
dell’articolazione
stessa
praticandovi un pressione contraria alla normale direzione di
movimento e, perciò, dolorosa. In questo modo l’avversario non può
utilizzare la propria forza muscolare per liberarsi, e viene
immobilizzato.
Figura 1 |
figura2 |
In
figura
1 e in figura
2, vediamo due
leve articolari , che andiamo adesso a descrivere.
Identifichiamo
con la parola UKE,
il soggetto con il kimono blu, che è colui che riceve la tecnica,
e con TORI,
il soggetto con il kimono bianco, che è invece chi pratica la
tecnica.
Nella
figura
1, TORI, afferra con
entrambe le mani il braccio sinistro di UKE squilibrandolo in avanti.
Poi con un rapido spostamento del corpo, chiamato TAI SABAKI, porta
il braccio di UKE sotto la propria ascella e ruota il polso. In
questo modo, il braccio di UKE subisce un potente controllo e viene
messo in leva sul gomito. Questa leva articolare si chiama
UDE-HISHIJI WAKI-GATAME,
o più comunemente WAKI-GATAME,
ed è una tecnica molto usata nella difesa personale. E’ una leva
di primo di tipo, dove il gomito funge da
fulcro, sulla mano di UKE
viene applicata una forza
che contrasta la resistenza
fornita dalla spalla.
In
figura
2, TORI è al fianco
di UKE ed afferra il suo braccio tra le cosce. Controlla con la gamba
destra il collo di UKE, e con la sinistra, il fianco. Tori afferra il
polso con entrambe le mani ed effettua la leva inarcando la schiena e
tirando il braccio di UKE verso il basso. Questa leva, che è molto
utilizzata in fasi di lotta a terra, si chiama UDE-HISHIJI
JUGI-GATAME.
E’
una leva di secondo tipo, in quanto, la
resistenza, fornita dal
gomito, si trova tra il fulcro,
che è la spalla, e la potenza,
che è applicata sulla mano.
Valentina Caruso
Nessun commento:
Posta un commento